Una spavalda contemporaneità

La direzione del Festival, giunto alla seconda edizione (ancorché fosse stato preceduto nel 2022 da un coraggioso numero 0), ha scritto le deliziose note introduttive che seguono. Del resto, l’ideatore a nome dell’Archivio audiovisivo Luca Ricciardi e la cabina di regia artistica formata dalla collaudata coppia Alina Marazzi e Marco Bertozzi hanno descritto con cura la natura delle giornate che rinnovano le attività dell’appuntamento.
UnArchive è diventata una scadenza istituzionale permanente. Si aggiunge pienamente alle tradizionali programmazioni dell’Agenda Aamod: il Premio intitolato a Cesare Zavattini, l’Aperossa, Il progetto e le forme di un cinema politico, il Cineforum palestinese, la residenza per artisti Suoni e Visioni. Per citare i capitoli più noti del palinsesto annuale.
Nel corso del tempo, vale a dire nelle fasi preparatorie delle due edizioni, è cresciuta la trama culturale di UnArchive, di assoluta e spavalda contemporaneità. Il filo si è sviluppato, seguendo traiettorie agli albori forse inimmaginabili.
Il riuso dei materiali archiviati e così disarchiviati non ha a che fare, ormai, con la pur nobilissima impresa della rilettura della storia raccontata per immagini. Certamente, si tratta anche di questo. Ma la peculiarità via via si è affinata: il footage è la premessa per la costruzione della realtà resa -grazie alla corsa indietro e avanti nel tempo- ben più vera e profonda rispetto alla mera esplorazione naturalistica.
Le tracce e i sintomi – offerti dalla visione dei beni preziosi custoditi negli archivi – transitano dal vecchio al nuovo, ci prendono per mano e rompono tetti o pareti consegnati dall’età analogica.
L’effetto mash-up dell’ibridazione dei testi nell’epoca digitale diviene clamoroso, perché la quantità si trasforma in un’estetica successiva agli stili della modernità classica e pure del determinismo tecnologico.
Nell’universo degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale si gioca una partita enorme, dove alla mera decostruzione del reale si può e si deve contrapporre una multipolarità di punti di vista capaci di allargare gli statuti cognitivi.
Il Festival contiene numerose componenti, dalle rassegne alle esposizioni, al concorso, alle conferenze e masterclass, e a tanto di altro.
Con simile preziosa esperienza l’Aamod intende compiere un salto in avanti nella sua ricerca e nella stessa identità in progress che ne accompagna la storia.
Si cerca, infatti, di divenire una piattaforma complessa, in cui convivono le aree consolidate della tutela aggiornata del patrimonio e l’offerta di contenuti segnati da un potente intelletto generale.
Ringraziamo l’Archivio Luce, il Ministero della cultura con la Direzione generale Cinema e Audiovisivo e il preziosissimo gruppo che ha collaborato alla costruzione delle giornate.
E va dato atto all’intero collettivo dell’Aamod, a partire dal consiglio di amministrazione, di avere creduto in una talpa tenace e illuminata che scaverà nel quadro delle offerte esistenti, contribuendo a rendere meno omologato e unico il pensiero che troppo spesso le pervade.
UnArchive intende essere, infatti, un luogo di riflessione e di riferimento di una discussione libera e indipendente su ciò che possiamo chiamare con il nome che preferiamo: arte, nell’epoca della sua iperriproducibilità tecnica. Chissà se Walter Benjamin apprezzerà. Comunque, senza di lui saremmo ancora al puro specchio figurativo.
Insomma, la creatività non una contemplazione, ma lo strumento essenziale della lotta di classe nell’immaginario.

Vincenzo Vita
Presidente AAMOD

Un archivio al cubo

Alle soglie della seconda edizione di UnArchive Found Footage Fest il pensiero torna alla sua prima prova, nel maggio del 2023 (anticipata a dire il vero da un “numero zero” realizzato poco più di un anno prima), che ha avuto per l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e per chi ha collaborato a immaginarla e costruirla un forte senso di “impresa” prima, di sorpresa poi. 

L’impresa era quella di provare a immaginare un festival che voleva essere unico nel suo genere, raccogliendo finalmente una domanda diffusa in una vasta platea di artisti, operatori culturali, studiosi e – qui c’era la sfida più grande – di pubblico. 

La sorpresa è arrivata poi all’avvio del festival, quando si è rivelata la straordinarietà di quell’esordio, travolti, al di là delle migliori aspettative, dall’entusiasmo di un pubblico – anche di giovanissimi – numeroso e vivace, dall’accoglienza entusiasta della critica e da una partecipazione attiva e non scontata di tanti artisti e operatori. 

È stata la conferma di un’onda ormai matura e consolidata, che si è alimentata negli ultimi anni e in diversi ambiti: nelle tante esperienze del cinema di ricerca, nelle pratiche della videoarte, nelle proposte di performer e musicisti, nelle ricerche e negli studi accademici e, naturalmente, anche nella crescente riflessione dei tanti, piccoli e grandi, archivi di immagini disseminati in Italia e nel mondo, sempre più consapevoli del valore “esponenziale” dei patrimoni che custodiscono. 

In quei giorni è stato detto sulla stampa che, se i film fossero oggetti matematici, UnArchive sarebbe un festival al quadrato (F. Ferzetti, L’Espresso, 30 aprile 2023). Certo, i film non sono costrutti geometrici, tantomeno i “nostri”, così densi di umanità, ricerca, tentativi e sconfinamenti. Ma la metafora di un cinema al quadrato coglie il senso profondo del riuso creativo delle immagini e ci fa riflettere sulle ragioni che portano un’istituzione archivistica del cinema e dell’audiovisivo come la nostra a sostenerlo con decisione.

 Riecheggia, infatti, nell’intuizione che vede le pratiche di riuso come processi moltiplicatori di significati, l’idea situazionista di Détournement e quella di una specifica forza che gli elementi deturnati mostrano, per la “coesistenza in essi del loro significato antico e immediato: il loro doppio fondo”.  

Cinema al quadrato è una definizione felice e calzante per provare a connettere le diverse pratiche artistiche che UnArchive vuole promuovere e far conoscere. Un cinema – e non solo – che si nutre delle immagini del passato, ricontestualizzandole e donando loro nuova vita, nuovi significati, senza disperdere quelli originari. Immagini nuove e al tempo stesso antiche. Segni e linee che generano geometrie complesse e libere, doppi fondi, visioni aumentate. Letture stratificate, capaci di rielaborare le tracce lasciate dal tempo in processi estetici e politici tutti contemporanei. Prospettive dunque, più che retrospettive. 

Qui sta l’ambizione – quella di pensarsi come “archivio del presente” – al centro delle politiche culturali dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, in uno sforzo continuo, ciclico, di archiviazione – disarchiviazione – archiviazione. Se il cinema di found footage è cinema al quadrato, l’archivio che lo promuove, prima affermandosi, poi negandosi, per poi affermarsi ancora, idealmente senza soluzione di continuità, potrebbe definirsi un archivio elevato al cubo. Un archivio volto a scongiurare ogni forma di istituzionalizzazione delle immagini e ogni rischio di musealizzazione, riconfigurando costantemente il patrimonio audiovisivo, aggiornato e, per questo, ancora e sempre vivo.

Luca Ricciardi
Ideazione e direzione organizzativa

Il cinema che brucia incendia le frontiere tra il poetico e il politico

Fare un film utilizzando immagini di repertorio non significa carpire la vita che dorme nei fortini delle cineteche, ma spogliare la realtà della sua apparenza, ridandole l’aspetto grezzo che basta a se stessa e cercando al contempo l’aspetto in cui essa avrà termine.

Apparentemente complessa, la dichiarazione di Jean-Luc Godard pubblicata nel 1963 sui  «Cahiers du Cinéma», a una seconda rilettura ci colpisce per la sua cristallina “verità”. Un invito, quasi una profezia, che facciamo nostro per rilanciare la seconda edizione di UnArchive, il Festival dedicato al cinema che scruta, interroga, riaccende, a volte ribalta le proprie fonti. È il paesaggio vasto e multiforme del found footage, un orizzonte iconico in continuo mutamento poiché accoglie in sé una moltitudine di materiali, immaginari, supporti e tecnologie. Nel lavoro di preparazione per il programma dell’edizione 2024 siamo stati sorpresi nel visionare film diversissimi tra loro, non solo per tematiche ed epoche di appartenenza dei repertori, ma anche per le differenti pratiche adottate e per le estetiche abbracciate. Gli autori si mettono fatalmente in gioco, talvolta in prima persona, altre assumendo il punto di vista di soggetti terzi, talvolta collettivi o anonimi; altre volte ancora tendono all’invisibilità, sfiorando prospettive dell’occhio-cinema o utilizzando immagini recuperate da telecamere di sorveglianza. Allora lo sguardo teneramente imperfetto delle immagini private lascia il passo all’estraniante occhio panottico delle immagini a circuito chiuso o a video provenienti dai media di informazione, così come il racconto in prima persona della voce narrante si alterna a paesaggi sonori composti da suoni trovati e machine-generated.

Perché l’indagine dell’artista-filmmaker scardina il punto di vista dato, referenziale, del materiale di partenza, questionando la rappresentazione immediata e aprendo interstizi entro i quali collocare nuove letture e nuovi significati. L’”artigiano” del found footage smonta e rimonta, dipinge e graffia, ricolora, taglia, incolla, sovrappone e spoglia alla ricerca di quell’aspetto invocato dalle parole di Godard. Così, nel panorama di UnArchive il concetto di ri-appropriazione del materiale d’archivio si ramifica in un detournement che va dalla decostruzione alla decolonizzazione dello sguardo, di genere e di identità culturale, in sintonia con il carico propulsivo delle più fervide riflessioni  contemporanee.

Undici sono i titoli del concorso lungometraggi. Film dai confini porosi, in grado di restituire creatività non imbrigliate, sguardi non stereotipati provenienti da diversi continenti e identità culturali. Storie personali che intrecciano esperienze, condizioni e mutamenti condivisi; oppure potenti narrazioni collettive che si declinano in sguardi vissuti da singoli. Poi i dodici titoli del concorso cortometraggi: sempre con temi e provenienze eterogenee ma con una maggiore varietà di sperimentazione linguistica e di tecniche adottate. Fuori concorso ecco due tra i più importanti autori contemporanei di questo cinema, Sergei Loznitsa e Eyal Sivan, che oltre a tenere una Masterclass presentano rispettivamente The Kiev Trial, film di apertura del festival, e The Specialist: Portrait of a Modern Criminal, nel suo venticinquesimo anniversario.  Preziosa, in questo momento storico, anche la presenza dell’artista filmmaker palestinese Kamal Aljafari, con tre suoi lavori.

Alle sezioni già inaugurate nella prima edizione, Frontiere – sugli sconfinamenti geografici ed estetici del found footage – e Panorami Italiani – una vetrina di pratiche e poetiche nel found footage italiano – abbiamo aggiunto Processi d’archivio, un focus su film che rielaborano immagini di/per “atti” processuali, opere trafitte da sguardi accorati, nelle aule di tribunali internazionali. Tornano poi alcuni tesori dall’archivio del Centre Pompidou nella carte blanche curata da Philippe-Alain Michaud; e torna anche Decasia, il film-manifesto di Bill Morrison, premiato lo scorso anno, membro della giuria di quest’anno e autore di due nuovi film presentati a UnArchive.

Mentre si rinnova la collaborazione con il festival olandese IDFA e il suo ReFrame Award, inauguriamo una nuova collaborazione con il MUTA – Festival Internacional de Apropiación Audiovisual di Lima; da ognuno di questi festival provengono titoli in grado di ampliare i nostri sguardi sul “cinema che brucia”. Ancora: Riuso di classe è una vetrina di lavori realizzati da scuole di cinema, università, accademie e residenze artistiche, mentre Aamod Reloaded ripropone in forma monocanale alcune tra le più interessanti live performance prodotte dall’archivio.

Ma il Festival pulsa anche fuori dalle sale del cinema Intrastevere. Innanzitutto al suo fianco, sempre in Vicolo Moroni, con una installazione site-specific dell’artista Caterina Borelli. Poi con le originali Live Performance notturne all’Alcazar – ecco opere incentrate sull’interazione tra immagini d’archivio e musica dal vivo – e all’interno del prezioso Tempietto del Bramante, all’Accademia di Spagna, dove UnArchive // Expanded ritrova la sua casa ospitando Studio Azzurro, il collettivo italiano di artisti pionieri della videoarte, con due magiche opere riciclanti, La cesta del montatore e Radici iconiche.

Sempre all’Accademia di Spagna, altri momenti di riflessione coinvolgono sia il panel L’immagine situata. Pensieri e pratiche d’archivio tra femminismo e decolonialità – con interventi di artiste, ricercatrici, e teoriche di un pensiero transnazionale che sta scuotendo pesanti eredità e dominazioni culturali attraverso una revisione degli archivi e dei suoi immaginari consolidati; sia l’ormai tradizionale talk sugli stili e le poetiche del found footage, in una tavola rotonda che ospita registe e registi presenti al Festival.

Con UnArchive partiamo dalla nuda vita delle immagini per scardinare i limiti del visibile. Grazie a film ibridi e pensanti, alle live performance, ai serrati incontri all’Accademia di Spagna, il nostro festival resta miracolosamente fuori dalle logiche istituzionali dell’anteprima a tutti i costi, lontano da passerelle e tappeti rossi. Esploriamo paesaggi di confine, lontani dalle torrette di controllo dei generi, laddove “il cinema che brucia” incendia le frontiere tra il poetico e il politico. In un reale mai domo, gravido di desiderio e saturo di conflitti, auspichiamo la crescita collettiva di sguardi selvaggi. Con gli occhi trafitti, ci proveremo anche quest’anno.

Marco Bertozzi e Alina Marazzi
Direzione artistica

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