Il tempo degli archivi
UnArchive Found Footage Fest sta assumendo un ruolo significativo nel panorama culturale. Italiano e non. Anzi. Rappresenta per certi versi un anti-festival. Nel senso che lo scopo delle giornate, ricchissime e plurali, non è di dare luogo ad una vetrina o a qualche red carpet, bensì di contribuire alla riscrittura del ruolo dell’archiviazione nell’età ora digitale e presto quantica.
Senza sottovalutare il peso della tenuta e del rispettoso recupero dei materiali audiovisivi, la sfida si sposta sulla creazione di contenuti e patrimoni cognitivi atti a modellare le stagioni veloci dell’intelligenza artificiale. Quest’ultima è un brand fortunato, in verità un’evocazione di significanti vuoti se non vi è il presupposto della produzione umana. Archivio, dunque, significa plasmare lo sviluppo tecnico con intelligenza qualitativa e non con una mera pesca a traino di dati accumulati in modi spesso sconfinanti nell’illegalità. I dati, infatti, appartengono alle persone e a coloro che ne definiscono gli alfabeti, non agli aggregatori che diventano i grossisti dell’IA. Il Capitale estrattivo. Ciò non toglie che le generazioni delle diverse IA procedano a velocità tale da impedire alla Scienza di programmarne l’evoluzione. L’IA è la figlia prediletta di una stagione anarco-liberista con i suoi detriti e i suoi spettri pericolosi. Ma non possiamo arrenderci alla polarità dialettica senza speranza tra globalizzazione e tentativi di imporre forme di protezionismo sovranista. Due destre culturali si sfidano, corrodendo la trama nervosa della democrazia. L’archiviazione diviene, dunque, l’introibo di un punto di vista alternativo. Passato e futuro si saldano dipingendo il presente con modalità assai più precise e articolate di un realismo elementare. Il riuso è un’estetica e non un mero accidente narrativo. Vale a dire: se vogliamo restare umani nella stagione in cui il post-umano è alle viste, alziamo la bandiera degli archivi: non un retaggio di un passato da superare, bensì un frammento essenziale per sognare una modernità equa e solidale. Ecco che UnArchive varca i confini festivalieri ed entra in una zona dove non si trovano le vecchie bussole analogiche: è il bello della diretta, come diceva un giornalista prestigioso e un po’ dimenticato: Gianni Minà.
Maneggiare i contenuti cinematografici, le immagini, è una forma di lotta culturale, sia contro l’oblio e l’omologazione alla dittatura della fugace contemporaneità e sia contro il furto del lavoro intellettuale. Dobbiamo pensare a paradigmi cognitivi aperti, in cui la difesa doverosa del diritto d’autore si unifichi alla ricerca di vie diverse e magari inesplorate per garantirne la sostanza. Open source come caratteristica del linguaggio si sposa alla volontà di tutelare la diversità e l’indipendenza della produzione culturale.
UnArchive, in conclusione, oltre a un festival è un soggetto che cerca di interagire criticamente con il paesaggio mediale e post-mediale. Una scommessa che non è lecito perdere. Per questo siamo ancora qui. Grazie al magnifico collettivo dell’AAMOD e di chi ha lavorato alla preparazione dell’evento.
Vincenzo Vita
Presidente AAMOD
La casa degli specchi
UnArchive Found Footage Fest, nonostante la sua giovane età, è ormai riconosciuto come un appuntamento stabile e imprescindibile dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, che lo ha ideato e lo produce. Certamente per il sorprendente successo delle edizioni precedenti, animate da un pubblico giovane, attento e partecipe, ma anche per la comunità internazionale che si è andata formando attorno al festival. Artisti, studiosi, programmatori, archivisti, cinetecari… sono sempre più numerosi coloro che hanno trovato in questo evento un punto di riferimento. Per una settimana, il cuore di Trastevere a Roma si trasforma in quella che a volte definiamo una giostra del found footage, tra nuove
visioni cinematografiche, installazioni artistiche, live performance audiovisive, panel, masterclass e tanti momenti informali di incontro e condivisione.
Il Festival continua a crescere e uno dei segnali più evidenti è l’ampliamento delle collaborazioni, che in questa terza edizione si sommano alle già numerose del passato. Ai luoghi ormai consolidati come il Cinema Intrastevere, il Live Alcazar, l’Accademia di Spagna e la Casa delle Donne, si aggiungono l’Orto botanico di Roma, la libreria Zalib, lo Spazio Scena, alcune gallerie – formali e informali – del quartiere, e, in via eccezionale, una location al di là del Tevere: l’Auditorium Parco della Musica, che ospiterà un evento davvero speciale.
Cresce anche il numero dei partner – tra questi, ambasciate e istituti culturali esteri, istituzioni locali ed enti privati – elencati altrove in modo dettagliato. Vale però la pena sottolineare, accanto alla storica collaborazione con l’Archivio Luce, l’importante sostegno del CSC – Cineteca Nazionale, che da quest’anno sancisce una significativa convergenza tra le tre principali cineteche della Capitale. Una sinergia che conferma quanto sia strategico, per le istituzioni impegnate nella conservazione del patrimonio audiovisivo, sostenere un festival che ne promuove
la conoscenza e la valorizzazione attraverso il riuso creativo.
Per la comunità dell’AAMOD – e più in generale degli archivi e delle cineteche – tuttavia, non si tratta soltanto di creare un contenitore capace di mostrare le più importanti produzioni di riuso al mondo, di discuterne, di incontrarne gli autori, di far crescere una comunità di appassionati. Certo, il Festival è prima di tutto questo, una “giostra del found footage”, appunto. Alcuni potranno viverlo come una ruota panoramica, altri come un ottovolante, per altri ancora sarà come un giro sul tagadà… Per noi dell’Archivio – e degli archivi – è invece soprattutto una Casa degli Specchi, dove, entrando, ci scopriamo riflessi in tanti modi inaspettati: allungati, schiacciati, ingigantiti, frammentati, caleidoscopici… a volte davvero irriconoscibili.
Un luogo nel quale perdersi e poi cercare di riconoscersi. E in questo perdersi e ritrovarsi, provare a capire cosa significhi essere un Archivio del presente e quale possa essere la sua funzione nella società e nella cultura contemporanee.
Luca Ricciardi
Ideazione e direzione organizzativa
Cinema fiammeggiante
Alla ricerca di esplorazioni non protette partiamo con la terza edizione di UnArchive. Anche quest’anno un cine-percorso sovversivo, sin dall’intendere l’archivio come irrequieto luogo di conservazione, dunque antro che valorizza la dimensione vivente dei suoi tesori, nella coabitazione di materie ribelli. Muoviamo (dall’) archivio come potente spazio progettuale, per ri-assemblaggi non convenzionali, dove l’esperienza di saperi differenti coabita il possibile in atto. Se vogliamo, archivio come luogo privilegiato per quelle pratiche di recherche-création così diffuse in altri paesi e che, anche in Italia, stanno entrando nel novero del possibile – nelle università, nelle accademie, nei festival – per costruire costellazioni di senso e ricerche originali capaci di tenere insieme consapevolezza teorica e rischio del gesto artistico. Uno scenario ricco di potenzialità che il Festival attraversa e stimola, con atti che privilegiano la dimensione vivente e relazionale delle immagini, nella costruzione di memorie e storie alternative.
Arricchito di nuove arborescenze – dall’Orto botanico allo Spazio Scena, sino all’Auditorium, in una delle serate clou di questa edizione – Unarchive è in piena germinazione, fertilizzato da sguardi umidi, gravidi di emozioni. Fioriture nutrienti, materia viva per film, panel, incontri, performance, cine-concerti, in uno scambio genetico di componenti aliene al cinema stabilizzato. Il cinema muta, Unarchive registra, poi spiazza, si smarca e induce nuova trasformazione. La degenerazione della materia vista come opportunità ci chiede di abbracciare la dissoluzione, l’incertezza, l’idea stessa di passaggio nel comporre altre immagini. Una valorizzazione dell’entropia che ha a che fare direttamente con l’idea di vita indiscriminata, con artisti/registi che fuggono da narrazioni consolidate per offrirci connessioni ribelli della materia filmica, mescolamenti e sciabordii nati da foto-detriti, da immagini di sorveglianza, da antiche rovine o formati ridotti inammissibili al grande cinema. L’inservibile diventa materia viva, i raccoglitori di cianfrusaglie filmiche geni rabdomanti alla ricerca di nuove iconologie. Scarti fisici che evocano marginalizzazioni culturali, corpi esposti, si, anche quelli di autrici e autori sempre più resistenti e capaci di sfuggire alla forma della scrittura classica per investire di nuove significazioni, ludiche e politiche, le loro magiche cine-danze. Siamo sognanti. Siamo aperti a gesti di rabbia e a gesti d’amore che liberino nuovi immaginari, territori del pensiero instabile, folle, visionario. Unarchive è il fertile giardino per questi papaveri rossi.
Così arrivano ad UnArchive le visioni ardenti e sorprendenti di autrici e autori provenienti da diverse latitudini e che ci offrono sguardi su paesaggi lontani e su corpi che si offrono ai nostri occhi come campi di battaglia. La battaglia è quella che le immagini di found footage combattono per riportare alla luce identità dimenticate e per riscrivere storie, anche del recente passato, a partire proprio dall’interrogazione delle rappresentazioni filmiche. Il regista rumeno Andrei Ujică, testimone d’eccezione del collasso della cortina di ferro con il suo epocale Out Of the Present, porta il suo ultimo film Twst ed è protagonista di una masterclass realizzata in collaborazione con CSC Centro Sperimentale di Cinematografia.
Ritornano alcuni ospiti già conosciuti al pubblico di UnArchive, tra cui Bill Morrison, candidato all’Oscar 2025 nella categoria Short Documentary con il suo Incident (già premiato nella prima edizione del festival). Quest’anno Morrison porta le sue immagini fluttuanti ad accompagnare un ensemble di archi per il cineconcerto darker, opera del compositore David Lang. Sempre nella sezione live performance ospitiamo l’artista visiva Federica Foglia che presenta i suoi Innesti di film orfani in versione expanded in dialogo con il trio sonoro Faravelli-Malatesta-Ratti.
In concorso ritroviamo il palestinese Kamal Aljafari, già protagonista di un appassionante incontro con il pubblico l’anno passato, così come il polacco Tomasz Wolski e il rumeno Radu Jude, con nuove loro opere. A fianco di questi autori già consolidati, così come anche il belga Johan Grimonprez e il polacco Maciej Drygas, scopriamo registi più giovani, come la canadese Lawrence Côté-Collins, l’armena Tamara Stepanyan, la ceca Klára Tasovská, il paraguaiano Juanjo Pereira e l’artista visivo filippino Khavn. Il concorso include anche cortometraggi internazionali mentre Panorami Italiani ospita opere italiane di autori che, tra gli altri, da tempo “frequentano” l’archivio nella loro pratica cinematografica, come Parenti-D’Anolfi e Sara Fgaier. I film di Frontiere ci conducono dalla Cina al Portogallo passando per Iran, Palestina, Algeria, Bosnia… La dimensione internazionale della rassegna si manifesta anche nelle connessioni che Unarchive ha attivato con festival omologhi in altri paesi di cui presentiamo alcune selezioni.
Marco Bertozzi, Alina Marazzi
direzione artistica

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